Ciao a tutti,
sono vegan da tre anni. Sono molto convinto della filosofia vegan, ma pochi giorni fa ho letto questo articolo e mi è venuto qualche dubbio. Voi che ne pesnate?
"Vegan non basta ancora" di Didimo
Parecchio tempo fa, è circolato un articolo di Marina Berati che riproponeva il modello di ragionamento vegan e articolava le sue riflessioni intorno ad una considerazione oggettiva: il lacto-ovo-vegetarismo non risolve il problema della violenza sugli animali e può persino aggravarlo. Infatti, la produzione intensiva di uova e latte non può prescindere dagli allevamenti intensivi degli animali produttori, mentre, in teoria, gli allevamenti per la produzione di “carne” potrebbero utilizzare allevamenti estensivi. Inoltre, la dichiarata impossibilità di mantenere mucche e galline quando la produttività cala fa sì che non si possa prescindere dall'“atto economico inevitabile” dell'uccisione.
La dieta vegan si sottrae a questa maledizione? I carnivori ricalcitranti reagiscono con insistenza chiamando in causa la sofferenza dell'insalata e delle carote, ma da più
parti è stato ampiamente dimostrato come il ragionamento venga impiegato per deviare da un binario che a un certo punto diventa sgradevole e imbarazzante per il carnivoro stesso. In realtà, l'interlocutore carnivoro potrebbe mostrarsi più intelligente e, anziché chiamare in causa l'insalata, potrebbe invocare un argomento piuttosto
serio: l'agricoltura non ha un impatto neutro nei
confronti del vivente. Almeno sotto tre aspetti:
L'agricoltura comporta da distruzione di un'infinità di animali (non soltanto insetti, ma anche pesci, rettili, uccelli e mammiferi) con l'impiego di sostanze più o meno nocive e tecniche di semina, cura e raccolta che trasformano i campi di coltivazione in luoghi di liquidazione di tutte le altre forme di vita incompatibili con gli interessi umani.
Gli animali che non sono subito direttamente interessati, possono essere successivamente coinvolti in quanto ritenuti concorrenti rispetto ai beni agricoli.
Lo sviluppo dell'agricoltura costituisce sempre una invasione del territorio che nega i diritti di esistenza di moltissime specie che non dispongono più dell'estensione territoriale sufficiente per sopravvivere tanto è vero che anche in Italia c'è una progressiva sparizione di specie animali.
Quanto precede può essere dimostrato al di là di ogni dubbio. Per quanto riguarda il primo punto, l'introduzione della chimica e della meccanizzazione produce risultati immediati facilmente riscontrabili. Basta pensare all'effetto che queste tecniche esercitano su rettili, uccelli e piccoli mammiferi. Per quanto riguarda il secondo, si considerino le continue lamentele di produttori circa gli effetti nefasti di nutrie, cinghiali o uccelli granivori. Infine, per il terzo, si consideri un esempio lontano ma interessante per il giudizio lapidario di uno scienziato apparso mesi or sono:
Quasi 20.000 koala vengono uccisi ogni anno, nello stato australiano del Queensland, durante le operazioni di disboscamento. La denuncia è giunta oggi sotto forma di lettera aperta, firmata da 420 scienziati di tutta Australia, e indirizzata al premier John Howard. Secondo gli scienziati, per ogni cento ettari di foresta disboscati, circa 2000 uccelli, 15.000 rettili e 500 mammiferi nativi muoiono o per le ferite inflitte dai macchinari oppure per i drastici mutamenti ambientali.
''La maggior parte della gente pensa che, quando si ripulisce un appezzamento di terreno, gli animali semplicemente si spostino altrove. Non e' cosi', la gran parte muore'', ha spiegato Hal Cogger, scienziato dell'australian Museum che si occupa di biodiversita'. (Fonte: EcoNews 26.11.03)
L'uomo non vuole condividere nulla con altri abitanti del pianeta e per questo reagisce con violenza quando viene messa in discussione la più piccola parte delle sue cose. Ma anche dopo una ipotetica riconduzione a ragione della specie, l'impatto umano non potrebbe certo ridursi a zero per ovvi motivi.
Dunque esiste un argomento forte, normalmente trascurato, che potrebbe permettere una ritorsione dialettica verso i vegan. Anche l'agricoltura possiede un volto violento. La risposta a questo argomentare è tuttavia semplice. Il vegan potrebbe ribattere scegliendo due linee. La prima: “Umanità estinguiti, visto che sei così nociva”. Conosco dei vegan che, avendo fatto la scelta dell'estinzione volontaria rinunciando alla prole, sarebbero d'accordo con questa idea. Altri, invece, più disponibili a vedere qualcosa di buono nell'animale umano – magari in prospettiva –, potrebbero indicare un'alternativa e dire: “Ogni essere ha diritto all'esistenza e per questo non può fare a meno di esercitare un'influenza negativa sul suo prossimo. Un'eventuale popolazione che avesse caratteristiche fisiologiche particolari e fosse obbligata a cibarsi di carne sarebbe eticamente autorizzata a farlo (gli eschimesi?); analogamente l'uomo vegetariano può cibarsi
di vegetali per rispetto a sé stesso”. Partendo di qui potrebbe poi riprendere le tradizionali ed efficaci risposte vegan contro il consumo di carne e derivati e mostrare la superiorità etica del regime alimentare vegan.
Tuttavia la mossa maldestra del “carnivoro intelligente”, pur non riuscendo a costituire nemmeno la minima base di giustificazione per il proprio comportamento, impone al vegan una riflessione che, per quanto ne sappia, non è ancora emersa in nessun articolo o in alcuna discussione. Quale?
Sappiamo che il comportamento alimentare vegan è governato da un principio generale espresso in varie forme che potrebbe essere riassunto nella formula: “E' necessario adottare ogni comportamento che riduca al minimo la sofferenza degli altri esseri e per raggiungere questo obiettivo l'alimentazione deve essere rigorosamente vegetariana”. Tuttavia considerare che anche l'agricoltura svolge un'azione distruttiva sulle altre specie agendo su di esse direttamente o indirettamente dovrebbe comportare, per coloro che sono sensibili alla vita, l'ulteriore
scelta di abbassare la soglia del dolore degli animali che sono coinvolti nell'attività distruttiva
dell'agricoltura. Ciò dovrebbe avvenire con l'abbandono
di cibi che, pur avendo natura indiscutibilmente vegetale, sono superflui sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Insomma, il nuovo principio guida dovrebbe diventare: “Non bisogna cibarsi del superfluo poiché questo viene a influenzare negativamente, in modo diretto o indiretto, la sopravvivenza e la qualità della vita di altri esseri”. Tutto ciò che viene mangiato o bevuto o utilizzato per puro gradimento pur avendo un'origine vegetale, dovrebbe essere semplicemente cancellato dalle possibilità d'uso sulla base del principio etico suddetto. Il vino è la prima cosa che mi viene in mente. Ma qualunque prodotto che non dispone di valore alimentare dovrebbe rientrare nella lista degli autodivieti. Qualità, ma anche quantità! Esagerare con i biscotti, raddoppiare gli input calorici necessari con cibo strettamente vegan non costituisce un comportamento corretto. Il fatto che vi sia una maggiore distanza tra l'azione e il suo effetto, cioè che non si riesca a cogliere la semplicissima relazione tra il dato del piacere, in sé perfettamente legittimo, e la distruzione cruenta di altre forme di vita condotta per soddisfarla, non la rende molto diversa da un'altra
azione: quella di chi, perchè la panna è buona, la mette nel caffè rifiutando qualsiasi altro tipo di considerazione. Questo perchè, non dimentichiamolo, stiamo parlando del superfluo.
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il resto si trova su
http://www.liberazioni.org/ra/ra/officina030.html